23 maggio 2008

Le paperette di Giovanni Falcone

Strage di Capaci
di Manilo Busalacchi

Quest’anno non so cosa scrivere. E’ questa la realtà. Parlare di Giovanni Falcone non è facile, e non mi va di commemorare, o di metter giusto in fila qualche parola perché va fatto. I giorni d’angoscia, dopo le due stragi, e d’euforia, all’insorgere consapevole dei cittadini siciliani, si sono scemati, uno dopo l’altro. La vera identità di alcuni uomini di potere è emersa, il momento del buon viso a cattivo gioco è finito, ora si viene allo scoperto, si attacca, si scardinano anni di lotta, si viola la memoria di decine di vittime cadute contro un nemico. Non avverto uno stato padre e garante, con cui condividere i nemici da lottare.

L’assoluzione di Giulio Andreotti per prescrizione del reato, è l’emblema dell’ambiguità, la tipica sentenza salomonica. Assolto, quindi, il vecchio regime connivente, che potrà godere ancora dell’impunità. Accontentata l’accusa, perché in fondo un assoluzione per prescrizione implicitamente contempla un accertamento di reato. Non bisogna dimenticare, però, che si sono spazzate vie alcune delle più importanti conquiste. Pio La torre è stato sconfitto due volte, prima con l’eliminazione fisica e dopo con l’annullamento, di fatto, della sua legge (Rognoni-La Torre), per cui, tra l’altro, l’atto criminoso del mafioso non si conclude con il compimento di un reato. Da quella legge in poi, il mafioso fa parte di una organizzazione strutturata ed altamente eversiva, sposa una “filosofia” ed un modo di essere che non avrà mai fine, considerato l’eredità che lascerà ai figli.

Giovanni Falcone aveva detto con le lacrime agli occhi: “Io ho solo l’onore e la mia vita, l’onore me lo hanno già tolto – scartandolo, clamorosamente, dalla direzione della super procura, e preferendo Agostino Cordova – e un giorno mi toglieranno la vita”. Sappiamo, purtroppo, che è stata una facile profezia, che dopo qualche settimana, da quelle parole, sarà trucidato insieme alla moglie e a gli agenti di scorta. Oggi si mette in discussione tutto, a partire dalla sua memoria, perché, più o meno implicitamente, viene accusato di aver fatto un uso spregiudicato dei collaboratori di giustizia – pentiti, se preferite. Di essere un arrivista, di voler fare carriera, questo no, oggi non lo paventa più nessuno, e lo credo bene.

Io sono testimone oculare della vita a cui era costretto Giovanni Falcone, ricordo all’interno del tribunale una gabbia blindata – non esagero – in cui conduceva più dei tre quarti della sua esistenza. Ricordo mattine surreali, in cui all’apertura dell’ennesima porta, all’esecuzione dell’ennesimo controllo, un denso fumo bianco, di una sigaretta perennemente accesa, pervadeva ogni cosa, segnandola inevitabilmente con il puzzo pregnante. Lavorava anche di notte, correva contro il tempo, sapeva di non potersi distrarre e che se voleva bere un caffè bisognava ordinarne un vassoio con una decina di tazzine; per sicurezza.

L’agguato era dietro le porte. Ma il colpo di grazie, quello peggiore, non l’ha inflitto la mafia, ma uno stato irriconoscente; inevitabile per un’entità collusa. Falcone in fondo credeva nei cittadini, sapeva, e diceva, che la mafia, come tutte le cose umane, ha avuto un inizio e avrà una fine. Oggi mi ritrovo solo a sperare che non venga seppellita la verità storica. Nei giorni immediatamente successivi alla strage di Capaci, un uomo si muoveva freneticamente, nel tentativo, quasi impossibile, di anticipare le mosse di un’entità fantasma. Lavorava giorno e notte, senza quasi mai fermarsi. Era una lotta contro il tempo, e ciò che aveva appreso era così grave da sconvolgerlo profondamente. Quindi, sapeva che da li a poco sarebbe stato eliminato anche lui.

Paolo Borsellino a Casa Professa quella sera era un’ombra, gli occhi lucidi come chi non ha più lacrime da versare, la voce spenta dalle sigarette e dalle notti insonni. Era li per i giovani, per far sopravvivere un messaggio, oltre le proprie gambe che da li a poco verranno falciate. L’ho visto; era distratto, assente, alienato, distrutto. Credo che avesse qualcosa che gli scoppiava nella mente; forse la consapevolezza di informazioni ancora non provate, ma gravissime, che l’avrebbero ridotto al silenzio. Per quest’incapacità italiana di piangere, sinceramente, le proprie vittime, e di legarle alla memoria, come si fa solo con i valori più alti, oggi sono attonito, incapace del bel discorso commemorativo.

Le paperette sono ancora in quella stanza, ora fredda, e inevitabilmente silenziosa. Lui, Giovanni, amava maneggiarle con cura e disporle a piacimento, secondo l’inclinazione del momento. Alla folta schiera, spesso, se ne aggiungevano altre. I suoi amici sapevano del suo amore per quei variopinti soprammobili, la sua costanza nel collezionarle, e di sovente ne facevano oggetto di regalo. Di legno, plastica, carta, ceramica; dei materiali più svariati, e sempre mistiche, allegre. L’ho visto rilassato e felice, una foto lo ritrae con le sue paperette, e lui ne appariva il tutore, di più, il cultore. Amo pensare che la sera, quando poteva, si sedeva nella poltrona per godersi gli immaginari versi in schiera ed il beccheggiare. Era questo il suo salotto possibile, non le case bene di Palermo. Era questo Giovanni Falcone, troppo semplice e umano per essere “solo” eroe, un uomo che amava la sua Palermo, profondamente, fino a dedicargli l’esistenza, ed in estremo la vita.

(Pubblicato in origine su ItaliaBlogOltre il 22/05/2003)


Vecchi Commenti

  1. Enrico Torielli
    @BlogOltre: che mai ti sento dire???
    Andreotti NON è stato assolto “per mezzo della prescrizione”! Se tu avessi studiato diritto, sapresti che la prescrizione è DIVERSA dall’assoluzione! “Prescrivere” significa SEGARE il processo, perchè la distanza temporale del processo dal momento di commissione del reato viene considerata come “eccessiva” (anche se ultimamente, per salvare il culo al fantino, hanno accorciato i tempi alle prescrizioni…). Senza la prescrizione, Andreotti sarebbe considerato colpevole!
    3 Lug, 14:48